Archivio ricerche storiche

Mulini e Mugnai

Di seguito alcuni estratti delle ricerche storiche e la raccolta delle testimonianze, svolte da Adriano Monari ed i soci di Piazza Coperta.

MULINI E MUGNAI è stato anche occasione di far visitare questi luoghi nell'estate del 2018.

L'interessante tema trattato non è rivolto ad illustrare il funzionamento meccanico dei mulini ad acqua o la storia della loro attività nel tempo, bensì a parlare di persone ed in particolare degli ultimi mugnai.

L'opuscolo MULINI E MUGNAI, stampato nel 2018, è disponibile a fronte di una piccola donazione che aiuta a sostenere le iniziative di Piazza Coperta.

Mulino Cà di Guglielmo di sopra.

DAVIDE NALDI, una forza della natura.

“Per ‘strappare la vita’ ... facevo una vita da cane” confessava senza giri di parole a chi gli chiedeva di parlare di sé... Davide non aveva la struttura fisica del gigante ma possedeva una forza incredibile che per lui era motivo di orgoglio, per gli altri di stupore: caricava un sacco di farina di un quintale sul suo somarello, come niente fosse.

Mulino Mazzone

ANTONIO GALLI, il mugnaio filosofo

Lo scenario del regime di vita di Tonino era rigorosamente francescano: una casa rustica e disadorna, la stalla per i suoi animali, il focolare quasi sempre acceso, il venerato bottiglione di vino rosso con accanto un bicchiere non propriamente trasparente.

Legenda del mulino del comune, quando i diavoli ballavano.

Nel mulino del Comune, durante la Quaresima i giovanotti e le ragazze della zona avevano arditamente organizzato una festa da ballo e … non venisse mai giorno e ... una ragazza viene colpita dalla presenza di un giovane bellissimo ... si lancia dalla finestra in un vortice di fuoco e fiamme, lasciando dietro di sé un odore pungente di zolfo.

Mulino del Piattello

La testimonianza di Adriano Monari

Pioveva sempre in quel maledetto autunno del 1944, sembrava che anche il cielo volesse condividere la cupa tristezza dei tempi. I soldati tedeschi della Wehrmacht, stanchi e affamati, fradici di pioggia, con negli occhi la disperazione della incombente disfatta, sfilavano a gruppi davanti a casa mia per raggiungere la pianura padana. Un soldatino, giovanissimo, ormai stremato e senza speranza, fuggì dalla sua compagnia per consegnarsi agli Americani che incalzavano a poche centinaia di metri, ma pestò una mina antiuomo che gli sfracellò una gamba, riuscì a trascinarsi fino al borgo e a rifugiarsi in un pollaio. Una ragazza rifugiata, mossa a compassione, fece di tutto per assisterlo, ma durante la notte morì, dissanguato, invocando la madre. Ma era destino che la morte di quel soldatino anticipasse una tragedia di ben altre proporzioni. Una breve premessa. All’epoca il Mulino del Piattello era uno dei borghi più isolati del Comune di Monghidoro, la strada che lo collegava al paese era più propriamente una mulattiera malmessa, inaccessibile ai mezzi meccanici. La gente era convinta che il “fronte” sarebbe transitato sulla statale della Futa, evitando così le località più “scomode”. Fu questa patetica illusione a dirottare al Piattello tanta gente, soprattutto donne e bambini, come sempre le categorie più deboli. Tutti si adattarono a sistemazioni di fortuna, stalle, fienili, pollai, rifugi. Del resto il pensiero dominante, in quel contesto di drammatica emergenza, era salvare la pelle. Ma il destino, sempre indifferente ai desideri degli uomini, aveva deciso diversamente. Una giovane donna (Amelia Monari) profuga, madre di due figli ancora in tenera età imbocca un sentiero con un pensiero in testa: ritrovare una collanina d’oro che aveva nascosto in una siepe per sottrarla alle razzie dei soldati tedeschi. Fa pochi passi, mette un piede su una mina imbottita di tritolo, lancia un urlo accompagnato da un boato lacerante e si accascia, sfigurata e irriconoscibile per le gravissime ferite riportate. Il marito (Angelo Farini) che, terrorizzato, aveva assistito alla scena, d’istinto si precipita per soccorrerla ma non è più fortunato: il solito scoppio di una mina, un corpo straziato e irriconoscibile che si accascia in un lago di sangue. Mio padre (Armando Monari) senza calcolare i rischi che correva si precipita; ma è più “fortunato”, la mina non lo uccide, gli spezza una gamba; morirà di cancrena, dopo una settimana, all’ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze. Ma non è finita: una povera donna (Medea, si chiamava proprio come l’eroina greca) rifugiata a casa mia e da tutti benvoluta e conosciuta per le sue divertenti stravaganze (era convinta che alla guida dell’aereo di ricognizione, il mitico ma tutt’altro che innocuo Pippo che sorvolava i cieli della zona di guerra, ci fosse un giovane e bel capitano che, follemente innamorato di lei, le lanciava dei segnali), in preda ad una incontenibile crisi isterica, si mette a saltellare sul tappeto di mine: ne raccoglieranno i miseri resti in un sacco.

FERRUCCIO MENETTI, il mugnaio burlone

Si chiamava Ferruccio Menetti l’ultimo mugnaio del Piattello, conosciuto da tutti con l’epiteto di “Vento”... In un’epoca in cui le risse d’osteria scoppiavano, a volte anche violente, Vento interpretava sempre la parte del pacificatore, com’era del resto nella sua natura bonaria.

ANGELLO NALDI, il mugnaio umanista

Uno dei tratti peculiari dell’indole di Angelo era la cortesia ... ai suoi amici avventori, desiderosi di conoscere ... leggeva e commentava i grandi classici: la Divina Commedia di Dante Alighieri, il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas (padre), I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

Ricordo del MULINO MENGONI

La mamma caricava una federa da letto pulita piena di grano tra la testa e le spalle di mio fratello mezzano – magrissimo, ma robusto– e in fila come nelle favole, per sentieri che non ci sono più, andavamo al mulino. Ci accompagnava la raccomandazione della mamma: -State attenti alla botte!! ... Era questa, della botte, un’acqua fonda e buia che incuteva paura; invece l’acqua della canaletta che la alimentava era bassa, trasparentissima e appariva quasi immobile, se non per un ipnotico formarsi di piccole scaglie sulla superficie: sembrava un lento serpente. Il mugnaio ci faceva scendere con lui nel mulino e azionava la macine. Era un luogo di penombra, misterioso. Tutta quell’acqua, così uguale e diversa insieme, faceva del mulino un luogo magico, carico di bellezza e paura.

Ricordo del MULINO DEI FRATI

Spesso andavamo di notte a caccia di gamberi nel “fosso dei Litroni” ... e percorsa una strada ancora ben tracciata nel bosco della “Padulla”, si arrivava al “mulino dei Frati”. Così, un giorno d’estate, andammo in gruppo ad esplorare. Le case di questo mulino erano ancora in piedi, ma non avevano più porte e finestre ed erano invase dai rovi. Al di là delle case si apriva un vasto prato che finiva in una specie di dirupo sul Savena e, dall’altra parte del fiume, la parete rocciosa del monte incombeva.

GAETANO PROSPERI, il mugnaio detto Spirito

Gaetano Prosperi ... capeggiò un’insurrezione a Monghidoro tesa ad abbattere le insegne di casa Savoia per restaurare quelle pontificie.

Per anni il Prosperi riuscì a sfuggire alle forze dell’ordine che lo braccavano, tanto da crearsi la fama di imprendibile e il soprannome di “SPIRITO”.

Il nome è rimasto a designare quel minuscolo mulino incassato tra i monti al quale Gaetano sarà riandato con la mente quella mattina del 15 dicembre 1863 quando, alle ore 7,15, il colpo secco della ghigliottina troncò la sua vita, e con essa la vicenda dello “Spirito”, mugnaio-brigante spinto, suo malgrado, sulla scena del Risorgimento.

Figura emblematica dell’Appennino bolognese e di Monghidoro fu Elena, l’ultima mugnaia del Mulino dello Spirito, ove ha macinato dal 1924 al 1961.